Noi e gli altri
Il concetto di sé è uno dei più dibattuti in psicologia.
Quello che dobbiamo tenere a mente è che l’identità, il concetto di sé che una persona possiede, non si costruisce in maniera avulsa dalla società. Piuttosto, possiamo osservare al processo di costruzione di sé come ad un processo dinamico e frutto di scambi e negoziazioni continue con l’ambiente.
Centrale è, quindi, la dimensione sociale e simbolica dell’esperienza e della comunicazione.
L’identità e il pensiero emergono nella relazione con gli altri. Come direbbe Levinas, filosofo francese, prima di essere considerato soggetto, l’uomo, l’essere umano, deve essere considerato in relazione con gli altri. Ciò che lo caratterizza è la sua “inevitabile possibilità” di rapportarsi con l’altro.
Noi stessi, quando ci mostriamo gli altri, diventiamo “altro”. E la nostra manifestazione avviene sotto forma di epifania, una rivelazione che ci ricorda delle infinite dimostrazioni dell’esistenza.
Gli altri: uno specchio con qualche crepa
Cooley nel 1900 ha lanciato una teoria che, al giorno d’oggi in una società governata dai social media e dove l’apparenza la fa da padrona, è ancora molto attuale. La teoria è molto semplice e lineare: il nostro sé è influenzato dall’immaginare le potenziali risposte degli altri alla nostra apparenza; risposte che hanno un impatto sulla nostra autostima e sull’immagine che abbiamo di noi stessi.
Non possiamo negare che in adolescenza, soprattutto nella società odierna, l’immagine di sé si costruisca attraverso i social media. Con un semplice click possiamo postare una foto su Instagram o Facebook e ricevere centinaia di feedback, che tuttavia possono essere positivi (ce lo si augura) o, come spesso accade nel caso dei leoni da tastiera, negativi.
Il feedback positivo rinforza l’immagine che abbiamo di noi mentre quello negativo la influenza negativamente. E questo vale non solo per gli adolescenti ma per tutti: il processo rimane il medesimo, cambia solo il nostro modo di reagire al fenomeno. Tuttavia, in adolescenza, periodo intrinsecamente critico dove lo sviluppo ha carattere discontinuo, la reazione potrebbe avere un’intensità maggiore.
Costruiamo l’immagine attraverso le interazioni sociali, più o meno digitali, e il nostro sé è influenzato largamente da come crediamo che gli altri ci valutino e percepiscano.
Riflessi allo specchio
Immagina la situazione di cui ti parlavo nello scorso articolo. Una mattina ti svegli, scegli con cura quello che desideri indossare ma arrivatə a lavoro una tua collega ti dice che il tuo abbigliamento non è idoneo al tipo di lavoro che andrai a fare. Avverti un senso di fastidio. Perché?
La spiegazione possiamo trovarla nei concetti di program e review di Stone.
In particolare, per lo studioso l’apparenza rappresenta uno dei modi attraverso cui veicoliamo significati sotto forma di simboli (l’abbigliamento è un simbolo che può racchiudere svariati significati storici, politici, culturali e sociali) all’interno delle relazioni sociali. L’immagine che abbiano di noi stessi, spesso con le relative attribuzioni di carattere valoriale, è validata nel momento in cui non vi è discrepanza tra program, l’immagine (temporanea) che abbiamo costruito di noi sulla base della nostra apparenza, e review, i feedback che ci vengono forniti dagli altri sulla base della nostra apparenza.
Ti ricordi qualche esperienza positiva o negativa in particolare al riguardo? Condividila con me nella sezione commenti👇🏼
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Bibliografia:
Stone, G. P. (1962). Appearance and the self. In A. M. Rose
(Ed.), Human behavior and social processes: An interactionist approach (pp. 86-118). New York: Houghton Mifflin.
Sontag, M. S., Peteu, M., & Lee, J. (1997). Clothing in the self-system of adolescents: Relationships among values, proximity of clothing to self, clothing interest, anticipated outcomes and perceived quality of life.(Research Rep. No. 556). East Lansing: Michigan State Agricultural Experiment Station.
Sontag, M. S., & Lee, J. (2004). Proximity of clothing to self scale. Clothing and Textiles Research Journal, 22(4), 161-177.