Si è conclusa ieri la prima edizione della Milano Digital Fashion Week, la settimana della moda interamente digitale trasmessa dal 14 al 17 luglio 2020.
42 brands e 27 stilisti emergenti, italiani e internazionali, hanno presentato le loro proposte attraverso streaming, maxi-schermi, teaser.
Nata in risposta all’emergenza causata dal Corona Virus, dunque alla necessità di distanziamento e all’impossibilità di spostamenti internazionali, la Digital Fashion Week segna una svolta nonché un profondo rinnovamento nel panorama della comunicazione della moda.
Il primo messaggio che ci arriva è che la moda non si ferma e che, qualsiasi cosa avvenga, se spinti dalla giusta motivazione e dall’amore per quello che facciamo e per le nostre radici, troviamo sempre il modo di fronteggiare le situazioni e non perdere l’essenza di ciò che siamo.
L’Italia è Moda. L’Italia è un popolo di innovatori e di persone resilienti, che si possono ferire, ma riescono ad alzarsi sempre, forti, e ad estrapolare il positivo anche nelle situazioni più funeste.
Il timore era che, dovendo rinunciare alla vicinanza fisica, al contatto, all’essenza concreta, caratteristica di abiti ed accessori, avremmo perso tanto in termini di coinvolgimento, interesse e sostanza.
E invece…
nel tentativo di sopperire al distanziamento imposto è stato creato qualcosa che ha suscitato un coinvolgimento emotivo superiore.
Nonché democratico: la Milano Digital Fashion Week 2020 è stato un evento speciale cui TUTTI siamo stati invitati, cui TUTTI abbiamo avuto la possibilità di partecipare.
Non c’è stata più l’esclusività vincolata alla ricezione di un invito per pochi. Eravamo tutti ammessi ad assistere, senza differenze e senza privilegi; non contava il numero di followers, non contava l’username o la presenza sui social.
Nell’intimità delle nostre case, in varie parti del mondo, ognuno di noi ha condiviso questo momento: Gigi Hadid seduta sul suo divano a Los Angeles, io stesa in spiaggia, qualcun altro con gli amici al bar.
Accomunati, finalmente, nello svolgimento della stessa azione e nell’amore per uno stesso settore.
In genere nei fuori sfilata si svolge una sorta di seconda Fashion Week: la street wear, affascinante fonte di ispirazione. Vincolata sempre ad un preciso luogo e momento.
Quest’anno, invece, il pubblico eravamo tutti noi, dalle nostre case, dai nostri paesi e città; nello STESSO MOMENTO ma da LUOGHI DIFFERENTI. A mio avviso è stata una dimensione estremamente coinvolgente ed inclusiva.
Paradossale vero? Neanche tanto!
Nessuno ha sofferto il fatto di “non poter essere lì”, perché in realtà non c’era nessuno “LÌ”, ma tutti si sono sentiti inclusi per il fatto di essere“QUI” , davanti agli schermi, dove si svolgeva effettivamente la Milano Fashion Week!
Uniti anche se a miglia e miglia di distanza.
Sarebbe stato bello se la Camera della Moda avesse richiesto una foto degli spettatori mentre guardavano le sfilate. Una sorta di fuori sfilata mondiale digitale.
Come sarebbe stata la mia foto? In costume da bagno, stesa in spiaggia, cuffie e ipad, carosello in una mano e tarallo nell’altra, a guardare Prada e Gucci con pausa tuffo tra uno e l’altro?
La sfilata che mi ha coinvolto di più, non c’è bisogno neanche che lo scriva, quella di Alessandro Michele per Gucci.
Sarà che mi sento particolarmente connessa con il suo modo di pensare, sarà che amo profondamente il reiterato messaggio filosofico che permea le sue collezioni, sarà che parla di simboli, di libertà di espressione, di rottura dei canoni imposti, di Essere, Identità, unicità ed autenticità…
Sarà un po’ tutto questo, ma resta sempre il designer che più mi affascina e che non perdo mai.
Così ha commentato la sua collezione:
“L’epilogo è l’atto conclusivo di una narrazione, il punto di accumulo di riflessioni che si sono sedimentate nel corso di uno scavo. Nel mio caso, rappresenta la possibilità di portare a compimento un percorso di interrogazione sul mondo della moda. Un percorso che somiglia a una favola in tre tempi. Le distanze si accorciano. L’atto creativo diventa prassi espositiva. L’interno si proietta all’esterno. L’invisibile prende forma, irradiandosi per autocombustione. In questo senso l’epilogo che oggi vi consegno somiglia molto a un preludio, uno spartiacque che chiude e apre al tempo stesso, una soglia da cui ripartire per provare a immaginare il domani”.
Per approfondimento consiglio l’articolo di Isabella Prisco su Elle Decor e Italo Pantano per Vogue.
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Thank you?