Ti sei sentit* stanc*, demotivat* ultimamente? Senza scopo, senza voglia di far nulla…senza gioia? È un’altra delle conseguenze del COVID-19 e prende un nome specifico. Continua a leggere??
LA MIA SETTIMANA
Mi è successo proprio questa settimana.
All’improvviso tutti quei “adesso non lo faccio perché non so se sarà consentito”, quel procrastinare non mea sponte ma perché ero impossibilitata nel fare progetti costruttivi, quel “ma cosa prenoto a fare? Forse domani cambia tutto e mi sono illusa per niente”, si sono trasformati in un blocco.
Mi sono sentita vuota, senza scopo, come se tutte le azioni fossero afinalistiche, inutili, senza significato.
Sapevo però che non era depressione.
Io la depressione lo ho avuta, anche bella tosta e a più round, e non è mai stata così. Ormai so cosa la scatena, individuo i miei triggers e mi fermo per recuperare i miei nuovi schemi comportamenti funzionali . So che può essere subdola e può manifestarsi sempre in modi diversi, ma non c’erano i miei familiari pensieri negativi, non c’erano la sensazione di essere senza speranza né la volontà di buttarmi nel cesso e tirare lo sciacquone.
Anzi. In quelle 72 ore di vuoto ho aperto gli occhi e realizzato delle cose di me che non volevo ancora riconoscere ed accettare e mi sono sentita stranamente sollevata.
Mi sono sentita spenta, quasi senza fiato; sono stata tentata di passare dal letto al divano e di rimandare tutto il lavoro da fare, avevo solo voglia di dormire.
Ma fortunatamente ho Pua, e con lei non posso fermarmi mai. Mi sono detta “fai questo: goditi questa passeggiata con lei, oggi e ora. Non fare programmi, non crearti aspettative, non organizzare ogni minuto della giornata come fai sempre. Devi fare la passeggiata? Concentrati SOLO sulla passeggiata. Tu e Pua, felici e spensierate, qui ed ora”.
Mi sono lamentata per due giorni, ho dato via libera al più dark del mio dark humor (povero amore mio!) ma intanto ho fatto di tutto. Per la prima volta in 24 mesi ho completato la mia to do list del giorno.
Da due mesi avevo comprato delle perline per fare dei braccialetti. Erano li a ramificare nel cassetto della scrivania. Ho fatto anche quelli, in meno di un’ora.
LETTURE NEL SUBCONSCIO
Eppure qualche settimana prima di sperimentare queste sensazioni avevo letto un articolo, per caso, un po’ distrattamente.
Quando ho curato la depressione ho imparato a stare davvero in ascolto con me stessa, ad accogliere tutte le mie emozioni, anche quelle più laceranti; ora, quando tornano i momenti no, disattivo la ragione, mi ascolto, lascio fluire i pensieri, le sensazioni e le emozioni. Per cui li per li, occupata ad ascoltarmi, non ho pensato a quell’articolo che avevo letto, quello in cui si parlava di LANGUISHING.
COS’È IL LANGUISHING?
“LANGUISHING” è un termine adottato dallo psicologo e sociologo Corey Kayes che si può tradurre con “languire”.
È usato per dare un nome a quello stato di assenza di benessere, indifferenza, rassegnazione, stato di vuoto e stagnazione che ben descrive il modo in cui tante persone si sentono e si sono sentite da quando è iniziata la pandemia dovuta al COVID 19.
Corey Kayes ha notato che molto persone, che non erano depresse e non rientravano nel quadro del burn out, comunque non fiorivano. Altre prove gli sono giunte da parte degli operatori sanitari in Italia attivi durante la pandemia in cui è stato dimostrato che chi ha sperimentato il languishing nel 2020 aveva il triplo delle possibilità di ricevere diagnosi di disturbo da stress post traumatico.
Il languishing non è propriamente una patologia ma è proprio un’assenza di gioia, di vitalità e bassi livelli di benessere.
RADICI DEL LANGUISHING
Da due anni ormai la vita “normale” è stata messa in stand by.
Ci pensate? Da quanto tempo non pianificate un viaggio? E se lo fate, non sentite quello strano disagio relativo all’incertezza se ci sarà o meno la partenza?
Quando decidete di fare un giro, vi capita mai di sentirvi spensierati e ricordarvi poi all’improvviso di dover correre a casa perché scatta il coprifuoco? Non vi sentire in trappola questa nuova vita?
A questa condizione, a questi pensieri, ci siamo dovuti abituare, abbiamo dovuto conformarci ad essi, contro la nostra volontà.
E ci troviamo ora in una sorta di blocco, di stallo in cui prevalgono rassegnazione e indifferenza. Fingiamo di continuare a fare le cose in vista di uno scopo, pur sapendo che quello scopo probabilmente non sarà consentito, e non sperimenteremo mai la soddisfazione relativa al suo raggiungimento; e allora ci mettiamo il minimo impegno, la minima convinzione, il minimo sforzo.
In due parole: non prosperiamo, non funzioniamo al massimo delle nostre potenzialità. Proprio questo è il languishing.
SUL NEW YORK TIMES
Adam Grant, psicologo americano, nell’articolo pubblicato su New York Times (quello che avevo letto ma non avevo elaborato) suppone che il languishing sarà l’emozione che dominerà il 2021.
Quello che tanti di noi hanno vissuto, vivono o vivranno non è burn out o depressione ma mancanza di gioia e di scopi. Grant ha scritto che è come se osservassimo le nostre vite attraverso un vetro appannato. Per me invece è più come guardare il temporale da una finestra, aspettando il momento in cui finirà per uscire, senza sapere se e quando finirà e come si starà al suo termine. Se farà freddo, se si potrà camminare, se avremo ancora voglia di uscire…
Il languishing si può manifestare con assenza di motivazione, difficoltà di concentrazione con conseguenze negative su rendimento scolastico/lavorativo, relazioni sociali.
Un vuoto incolmabile. Ecco cosa ho sentito io.
Il languishing è “strano” perché non tutti sono pronti a riconoscere la sofferenza, e una volta fatto non tutti la identificano, ci riflettono su e chiedono aiuto.
Come ha scritto Grant “parte della pericolosità è che quando sperimenti languishing potresti non notare l’attenuazione del piacere. Non ti rendi conto che scivoli lentamente nella solitudine; SEI INDIFFERENTE ALLA TUA INDIFFERENZA. Quando non riesci a riconoscere la tua sofferenza, non chiedi aiuto e non fai niente per aiutarti”.
COME INTERVENIRE, FLOW
Secondo Grant il miglior modo per intervenire è innanzitutto dare un nome a ciò che si prova: prendere coscienza del problema, definirlo, aiuta in un primo momento a far chiarezza, guardare al di là dello scroscio violento della pioggia. Dare un nome al problema che abbiamo permette di selezionare le armi migliori per fronteggiarlo.
E anche ricordarsi che tanti altri provano queste emozioni. Non è che mal comune mezzo gaudio, ma sapere che non si è soli genera sollievo.
L’antidoto migliore contro il languishing è il FLOW, il flusso. Uno stato di piacevole abbandono che fa perdere temporaneamente il senso del tempo, dello spazio e del sé e che si prova quando si è assorbiti da qualcosa. Una maratona serie Netflix, leggere un libro che da tempi immemori sostava sul comodino, lasciarsi coinvolgere nelle storie, legare con i personaggi, identificarsi e vivere con essi.
Altro antidoto è dedicarsi a un hobby personale (come ho fatto io con i braccialetti di perline); porsi degli obiettivi giornalieri piccoli ma realizzabili qui ed ora, per rinnovare il senso di gratificazione immediata e il piacere nel raggiungimento di un obiettivo; tutto ciò ristabilisce l’entusiasmo e adeguati livelli di benessere percepito.
Come dice Grant, viviamo (ANCORAAA???) in un mondo in cui si tende a negare, ignorare e stigmatizzare i disturbi mentali. Ci accingiamo ad affrontare un’era post pandemica in cui è necessario pensare al malessere psichico per ripristinare il suo benessere.
Possiamo farlo dando voce a quello che proviamo, non vergognarci di subire l’effetto emotivo di quello che ci è successo e ci succede.
Condividere le nostre esperienze, il nostro languire, aiuta a fronteggiarlo ed evita di farci spegnere, come se fossimo macchine. Quanto immensamente stupido sarebbe fare una cosa simile da parte nostra…
Se vuoi condividi con me le tue esperienze, se ti è capitato di provare queste sensazioni/emozioni??
O condividi questo post con qualcuno che sai averne bisogno in questo momento!
Ci siamo passati anche io, Adam Grant, che siamo psicologi…non è debolezza, non è essere strani.
È, semplicemente e umanamente, essere.
❤️
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