Pretty Psycho Things

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Evoluzione stilistica. Da fuori a dentro

E così siamo arrivati alla fine di questo bellissimo e mediamente lungo viaggio insieme.

Da Settembre Pretty prenderà una nuova forma, probabilmente. Devo ancora pensarci. Nel frattempo guardo a quello che abbiamo scritto e condiviso nei mesi passati e contemporaneamente osservo quanto successo in me, nel mondo moda e di come si sia evoluta la mia relazione con la moda.

Mentre organizzavo e lanciavo il il progetto PPT mi stavo anche preparando per lasciare (finalmente) Milano e trasferirmi a Barcellona. Avevo preso il tutto troppo alla leggera, lo ammetto. Credevo di poter fare mille cose insieme, e anche bene.

Non avevo considerato, o meglio, avevo dimenticato, cosa significasse andare a vivere in un nuovo Paese. È un’esperienza fibrillante ma anche profondamente sconvolgente. In fin dei conti, non è mai facile strappare le radici e ripiantarle in un nuovo terreno.

A parte le difficoltà pratiche, del vivere quotidiano, in questo processo mi sono scontrata con me stessa, con chi ero, chi pensavo di voler essere, gli abiti che mi facevo andare bene e che credevo mi fossero necessari per vivere con me e con le altre persone.

I primi 3 mesi ho pianto come una disperata: ho vissuto con una sola valigia e 3 paia di scarpe e mi sentivo sempre nuda, a nervi e organi scoperti, in balia dei fenomeni esterni. Mi sentivo persa senza tutti i miei vestiti e tutte le mie scarpe; a furia di indossare sempre le stesse cose, e di vedermi sempre allo stesso modo, non mi vedevo più.

Avevo portato con me una felpa di Tommy Hilfiger, comprata durante l’ultimo viaggio a Los Angeles. Indossavo quella felpa il giorno in cui ho avuto paura di camminare da casa al supermercato; quando ho ricevuto il ventesimo rifiuto per un lavoro; quando abbiamo ricevuto la diagnosi di tumore maligno della nostra cagnolina; quando ho pensato di lasciare tutto e tornamene a casa, disperandomi in un mare di vergogna e fallimento. Guardavo quella felpa e mi si contorceva il viso; rievocavo ogni singolo momento in cui mi ero sentita persa, in cui mi mancava il respiro per i singhiozzi. Ma avevo solo lei qui. La indossavo con i conati, pensando agli altri abiti, le altre me, che giacevano in qualche pacco in Italia.

Quando, dopo 3 mesi, ho ricevuto quei benedetti pacchi…mi ha assalito un ulteriore magone. Non erano più mei quegli vestiti. Non mi definivano più, non rendevano più la mia immagine. Erano una massa gigante di tessuto inutile.

In uno c’erano 7 blazer, uno uguale all’altro. Differivano solo per la sfumatura di colore. Nero.

Presa da una sorta di scissione, all’inizio li ho messi nell’armadio. Nei giorni seguenti ho notato che tendevo ad indossare pochissime delle cose arrivate, le guardavo con estraneità, come se non mi fossero mai appartenute; non mi sentivo me stessa in loro.

E poi ho pensato “bé ovvio! Non sei più la stessa persona che solo sei mesi fa indossava questi abiti. In 3 mesi hai attraversato un inferno in terra, che evidentemente ti ha segnata. E in cui sei riuscita a sopravvivere con solo una valigia da 20 kg, compresi i libri”.

Così ho iniziato a ripulire e ripulirmi, a mettere a fuoco in cosa ero cambiata e cosa mi serviva realmente per traslarmi fuori. Ho fatto un lunghissimo lavoro di pulizia per arrivare alla mia nuova immagine. Più basic, meno fru fru, sicuramente più flessibile e agile.

Mi sono alleggerita di circa l’85% del mio armadio. Le navi, quando sono troppo pesanti, stentano ad andare avanti. C’è bisogno di eliminare il carico perché possano proseguire la traversata.

E così funzioniamo noi. A volte gli abiti (e i pensieri) che accumuliamo ci sovraccaricano al punto da immobilizzarci, da non farci più avere percezione di noi e del nostro corpo. E lì arriva la staticità, l’immobilità, l’incapacità di evolverci. Quando diciamo “io ho uno stile classic chic” in qualche modo ci cristallizziamo in tutta una serie di valori, di habits e modi di vita che ci imprigionano, impedendoci di sperimentare altre posizioni, altri stili, altre noi.

Prendendo consapevolezza di quanto fosse avvenuto in me, di quanto fossi cambiata fuori e dentro a livello di immagine, mi sono anche resa conto di un’altra cosa: non è la moda che mi interessa. Anzi, a dir la pura verità, negli ultimi mesi me ne sono completamente distaccata: la trovo incosciente, insulsa, snaturata, a furia di essere triturata per soli fini commerciali da chiunque essere che le graviti attorno. A quella moda che mi piaceva tanto interessano solo le vetrine, del contenuto non se ne cura più. Ed è ben lontana dall’essere in ascolto e dalla missione di dar voce alla nostra società.

Ho rivisto i miei valori e i miei obiettivi, quelli reali.

Quello che mi interessano sono gli abiti, e il significato che essi hanno per ogni singola e particolare persona. Qualsiasi essi siano, a qualsiasi stile appartengono: mi interessano perché raccontano una storia; in quanto stimolo di auto affermazione, autostima e auto efficacia; come strumento di rivelazione personale e di ricostruzione di se.

Questo.

Non solo io, ma anche le altre editrici ed editor di PPT sono cambiati in questi mesi. Ognuno di noi ha avuto delle esperienze, vissuto dei momenti, raggiunto dei traguardi, che hanno avuto un forte impatto e che ovviamente hanno dato modo ad altri obiettivi di prendere forma.

Continueremo ad esserci, in forme, colori, parole diverse. Forse ancora qui. Almeno io di sicuro☺️

Vi invito a seguirci sui nostri canali personali e a non perdervi le prossime tappe della nostra evoluzione, chissà che le nostre strade si vadano ad incrociare, non solo virtualmente 💓

Trovate i link ai nostri profili sotto la foto di ciascuno di noi💓

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