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Fast fashion-fast identity. La velocità che brucia l’identità

È innegabile che i social abbiano rivoluzionato le nostre vite, dal punto di vista educativo, della fruizione dei contenuti, dei consumi e delle abitudini.
Si sono insinuati in modo lento e, paradossalmente, uno dei cambiamenti che hanno imposto concerne la VELOCITÀ. Con ripercussioni sulla sfera sociale, personale e conseguenze che hanno coinvolto , tra gli altri, anche il settore moda.

Fast fashion, fast identity

Si parla di fast fashion in riferimento ad una (relativamente) recente industria che permette di avere a disposizione vestiti e stili sempre nuovi, a prezzi molto bassi, rispondendo da una parte all’esigenza dei brand di fare profitto e dall’altra al desiderio dei consumatori di rinnovare continuamente la propria immagine e il proprio guardaroba.

I social bombardano di immagini sfarzose, attraenti che inducono la formazione di desideri ed esigenze cangianti ogni giorno. Stimolano un rinnovamento quotidiano e l’aspirazione continua ad essere diversi da come si è.

Non si fa in tempo ad acquistare un capo che promette di dare un’immagine di sé migliore, che eccone un altro che depotenzia il precedente e ne promette una ancor migliore e notevoli picchi di autostima. In un loop che mentre fino agli anni 2000 aveva la cadenza delle canoniche 4 stagioni del calendario della moda, ora, per rispondere alla velocità e immediatezza dei social, si ripete per circa 52 collezioni all’anno.

La continua proposta di mode, trend, stili sui social invoglia a comprare abiti sempre nuovi. Ciò non alimenta solo l’industria fast fashion, con tutti gli aspetti negativi ad essa connessi. Il continuo cambiamento provoca anche una profonda confusione di identità: chi si è oggi non andrà più bene domani. I vestiti che esprimono l’identità di un giorno il seguente sono già spazzatura, così come l’identità di chi li ha indossati. Buttarli senza rammarico, non averne cura, significa anche non dar peso a quelle che sono, seppur per un breve periodo, parti importanti di sé, modi attraverso cui l’identità viene espressa.

Utilizzare abiti ed accessori solo per il tempo di una foto e ritenerli inopportuni per il post successivo significa svalutare componenti di sé e sentirsi sempre incompleti, insoddisfatti, a rincorrere un Io ideale mutevole e irraggiungibile.

Io social approved

Questa corsa all’Io social approved nutre la moda low cost, impattando fortemente sui problemi ad essa connessi.
È noto da tempo l’impatto dell’industria fast fashion: sul consumo idrico, sulla qualità di vita degli impiegati del settore tessile (salari bassi, norme di sicurezza praticamente inesistenti), sull’inquinamento e sullo smaltimento dei rifiuti.
La scarsa qualità e il basso costo dei prodotti fast fashion, unita all’esigenza di rinnovamento stilistico continuo, fa si che tali prodotti vengano rimpiazzati più spesso rispetto a quelli di maggiore qualità.
È aumentata la quantità di abbigliamento prodotto, usato e scartato: il tempo che basta per ottenere UN bel post da pubblicare su Instagram.
Di frequente poi gli abiti vengono gettati via, non rivenduti, riciclati o regalati.

Evitare di essere mal influenzati

Riprendiamoci la lentezza, il tempo che ci serve per godere delle cose, non facciamoci semplicemente trascinare dalla corrente: se il moto ondoso è così veloce da far perdere l’equilibrio in mare, la cosa migliore da fare è uscire dall’acqua.

Per evitare di essere massivamente influenzati si dovrebbe smettere di usare i social ed il consumo fast fashion si auto annullerebbe. Ma ciò sembra alquanto impossibile.
È possibile invece ridurre la frequenza:


di accesso ai social, quindi l’esposizione ad immagini pubblicitarie che inviano il messaggio della necessità continua di cambiamento e trasformazione veloce;

di acquisto superfluo presso fast fashion.

Ciò porterebbe, per il singolo consumatore, un notevole risparmio, e un guadagno in termini di immagine, di equilibrio di identità e di qualità dei prodotti in cui diventa possibile investire. Quando un capo acquisisce un significato simbolico personale per chi lo indossa le persone vogliono preservarlo e non hanno l’esigenza di rimpiazzarlo. In questo modo si tamponerebbe anche il problema legato all’enorme quantità di rifiuti tessili.

Sembra più che mai attuale il consiglio del poeta Jean-Pierre Siméon
“Rivendicate la lentezza: nel nostro mondo a tutto vapore, è un diritto delizioso di cui siamo stati privati”.

Per approfondimenti:

http://www.area15.it/2019/06/20/fast-fashion-e-moda-etica-riflettiamoci-insieme/ https://www.mdcumbria.it/rifiuti-tessili-e-impatto-sullambiente/

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